Sinistra Autonomia FederalismoRipartiamo dalle idee e dai territori
È ben noto che le premesse ideali del processo di costruzione dell’unità europea sono contenute nel Manifesto di Ventotene. A redigerlo, nel 1941, quando gran parte dell’Europa è sotto il giogo nazi-fascista, è un terzetto di irriducibili antifascisti confinati nell’isoletta di Ventotene: Altiero Spinelli, ex-comunista, Eugenio Colorni, socialista, ed Ernesto Rossi, di Giustizia e Libertà
La loro ispirazione federalista deriva parte dalla discussione sul federalismo sviluppatasi nel movimento di Giustizia e Libertà (principali protagonisti Emilio Lussu e Silvio Trentin), parte dagli scritti di Lord Lothian e Lionel Robbins, due britannici che sulla traccia del federalismo americano e del progetto di Immanuel Kant Per la pace perpetua, hanno visto come unica soluzione alla conflittualità internazionale la creazione di una grande «federazione di Stati», a partire dall’Europa.
Al di là di queste influenze di pensiero, il federalismo del Manifesto di Ventotene ha due motivazioni essenziali, una politica e una sociale.
La motivazione politica riguarda la convivenza pacifica degli Stati europei che, una volta terminata la guerra e sventata la minaccia del totalitarismo nazi-fascista, non potrà essere assicurata se essi non rinunceranno alla loro sovranità assoluta avviando la costruzione degli Stati Uniti d’Europa. La motivazione sociale riguarda l’«emancipazione» delle «classi lavoratrici», senza la quale non possono esserci le condizioni per l’«uguaglianza di fatto» nel godimento dei diritti politici e quindi per una generale progresso civile.
Questa solidarietà di obiettivo politico e di obiettivo sociale nel federalismo era già stata rimarcata da Lussu e Trentin, ma nell’ambito nazionale, mentre Spinelli e compagni la propongono nel quadro europeo. L’impossibilità di scindere queste due componenti del federalismo, politico-istituzionale e civile-sociale, sarà ribadita in seguito da Mario Albertini, il principale erede politico di Spinelli, contestando l’abitudine invalsa a ridurre il «federalismo alla teoria dello Stato federale», perché a suo avviso non può esserci Stato federale senza una «società federale»: una società, cioè, dove tutti i cittadini hanno diritto alla libertà personale, alla giustizia sociale e alla partecipazione politica.
Soltanto alla luce di questa concezione del federalismo, insieme sociale e politica, si può valutare il percorso sinora compiuto dall’unificazione europea in prospettiva federale: l’unica prospettiva di Stato europeo che dovrebbe interessarci.
Nonostante lo scetticismo dei partiti italiani, nel dopoguerra il fermento federalista comincia ad agire presto nella politica europea. La famosa Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, preludio alla creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), la vede come «prima tappa della Federazione europea». E in questa direzione sembra poi andare la sottoscrizione a Parigi, nel 1952, del trattato di istituzione di una comunità Europa di Difesa (CED). Su consiglio di Spinelli, De Gasperi convince infatti gli altri capi di governo della CECA a inserirvi un articolo, il 38, che prevede l’avvio di un processo costituente per la trasformazione della CECA e della CED in una comunità politica a base federale. La mancata ratifica della CED da parte dell’Assemblea Nazionale francese spegne però sul nascere questo primo disegno di una costituzione europea.
Il processo di integrazione europea non si ferma, comunque, e procede su binari essenzialmente economici che portano all’istituzione nel 1957 della Comunità Economica Europa (CEE) e della Comunità Europea dell’Energia Atomica (Euratom). A questo punto le Comunità economiche europee sono tre, la CECA, la CEE e l’Euratom, e i sei Paesi membri (Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo) sono perciò costretti a creare delle istituzioni comuni e uniche per coordinarne l’attività: un Consiglio, una Commissione e un Parlamento.
L’elezione del Parlamento europeo a suffragio universale, a partire dal 1979, contribuisce, più di ogni altro atto precedente, a rafforzare l’incerto profilo politico della Comunità europea. Ed è proprio in seno al nuovo parlamento che l’indomabile Altiero Spinelli rilancia il tema federale promuovendo con il cosiddetto «club del coccodrillo» (1980), la proposta di un «trattato d’unione europea». I suoi contenuti di ispirazione federalista sono: l’attribuzione all’Unione di nuove competenze in materia sociale (sanità, ambiente, ricerca, formazione, etc.) oltre che economica; il potenziamento del ruolo del Parlamento, cui è attribuito un potere legislativo in condivisione con il Consiglio (trasformato in «Camera degli Stati»); l’introduzione del principio di sussidiarietà per la ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati.
La proposta di «trattato d’unione europea» è approvato a larghissima maggioranza dal Parlamento europeo nel febbraio del 1984, ma viene poi accantonato per l’opposizione del Regno Unito, allora governato da Margaret Tatcher.
Questa iniziativa costituzionale è il canto del cigno di Spinelli ( muore nel 1986), ma non resta senza frutti. Alcuni suoi contenuti federativi sono infatti recepiti sia dall’Atto Unico Europeo del 1987, che rafforza il ruolo del Parlamento e introduce nuove competenze comunitarie in materia sociale e ambientale, sia, soprattutto, dal Trattato di Maastricht del 1992, che istituisce l’Unione europea, definendo un quadro unitario per il funzionamento delle istituzioni comunitarie, le cui competenze sono meglio delimitate sulla base del principio di sussidiarietà. Il Trattato di Maastricht introduce inoltre la moneta unica, l’euro, che viene a coronare il lungo e faticoso processo di integrazione economca dei Paesi aderenti (cui nel frattempo si sono aggiunti il Regno Unito, la Danimarca, l’Irlanda, la Grecia, la Spagna e il Portogallo.
Il Trattato di Maastricht rappresenta, in effetti, il punto politico più alto raggiunto dal processo di unificazione, quasi un preludio all’adozione di una costituzione europea. Il Consiglio riunito a Laecken nel dicembre del 2001 ne affida persino l’elaborazione ad una «convenzione» istituita ad hoc, il cui faticoso parto è approvato dal medesimo Consiglio nell’ottobre del 2004, per essere poi respinto dai referendum tenuti in Francia e in Olanda.
Se è difficile disconoscere i progressi politici compiuti dall’Unione europea sino a questo punto, essi non sono stati tuttavia tali da consentire un governo unitario dei processi di integrazione economica, fortemente accelerati ma resi anche più problematici dall’introduzione dell’euro, unico caso al mondo di moneta senza Stato. È proprio dalle carenze di governo politico dell’Unione che scaturiscono i processi involutivi che ben conosciamo, con la ripresa dei protagonismi governativi e statali in seno al Consiglio europeo (da non confondere con il Consiglio già menzionato), con il depotenziamento del Parlamento e il conseguente accentramento dei poteri decisionali nella Commissione e nella Banca Centrale Europea, organi non elettivi che agiscono senza controllo democratico.
È soprattutto a queste due istituzioni (che con il Fondo Monetario Internazionale costituiscono la cosiddetta e malfamata Troika) che si attribuisce l’adozione di una miope politica di austerità. Una politica ispirata a un neoliberismo ibrido, che lascia mano libera alle speculazioni finanziarie e alle pressioni sregolate dal mercato, e scoraggia viceversa gli investimenti produttivi e la spesa sociale. I suoi risultati più generali sono stati il condizionamento negativo dell’esercizio della democrazia nei diversi paesi e le lesioni sempre più gravi arrecate a un modello europeo di welfare senza eguali sulla scala mondiale, soprattutto perché frutto di un impegno secolare delle organizzazioni dei lavoratori.
Non è dunque un caso che in questo contesto regressivo siano state messe in atto molteplici azioni ostili contro le rappresentanze dei lavoratori. Chi ha vissuto il periodo aureo del movimento sindacale italiano, quello che aveva portato allo Statuto dei lavoratori e al suo art. 18, non può non avvertire un forte senso di malessere per la vera aggressione che queste conquiste hanno subito con la legge Fornero del 2012 e con il Jobs Act del 2015. La cui conseguenza più deprecabile è stata la maggiore esposizione dei lavoratori all’immancabile ricatto padronale, che mette a rischio costante la certezza del posto di lavoro e spesso anche la dignità del dipendente.
Di fronte a questa situazione è stata avanzata l’idea di una sorta di New Deal europeo, con la mobilitazione a scala europea di risorse pubbliche da impiegare in investimenti strategici nella tutela dell’ambiente, nel risparmio energetico, nella ricerca, nella creazione di reti e infrastrutture. Fatto sta, però, che manca proprio il soggetto che dovrebbe progettare e mettere in atto questo New Deal, perché l’Unione europea è sì una «Associazione di Stati» molto più integrata di quanto molti pensano, ma non è uno Stato, il solo titolato all’esercizio di funzioni pienamente efficaci in quanto sovrane.
E se riteniamo che l’Unione europea debba diventare un Stato – e noi siamo di questo avviso – non c’è altra prospettiva che lo Stato federale europeo.
Ecco allora che la nostra bussola di orientamento torna ad essere il progetto federalista del Manifesto di Ventotene. Un progetto che, come ha scritto Amartya Sen, mette al centro della politica e dell’economia la libertà individuale, ma come «impegno sociale», tesa cioè a perseguire il benessere collettivo con il lavoro, l’assistenza sanitaria, l’istruzione di base, la sicurezza sociale, la partecipazione democratica alle decisioni di rilievo pubblico. Ed è di qualche significato che queste implicazioni economiche, sociali e politiche del federalismo siano state messe in piena luce da Amartya Sen, uno dei più innovativi economisti contemporanei, che riconosce di averle derivate dalla lunga frequentazione di Altiero Spinelli, suo suocero per averne sposato la figlia adottiva Eva Colorni. Ricordo che la madre di Eva, Ursula Hirschmam, si era risposata con Spinelli dopo la morte del marito, Eugenio Colorni, assassinato dai fascisti nel 1944.
Per noi questi intrecci di parentele e di influenze sono un’altra suggestione a stabilire una continuità ideale e simbolica tra l’ieri della lotta contro i totalitarismi e l’oggi e il domani dell’impegno a costruire un’Europa unita dal cemento della libertà, della democrazia e della giustizia sociale: gli Stati Federati d’Europa.
Olbia, 20 maggio 2019.