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La sinistra e il Pd e quella distanza abissale dalla realtà quotidiana
di Cristina Deidda
Partendo dall’analisi dei numeri, i 5Stelle hanno ottenuto circa 70.000 voti, perdendo circa 300.000 consensi rispetto alle politiche di un anno prima. I voti persi dai 5Stelle, secondo un’analisi condotta dall’Istituto Cattaneo, sarebbero in parte confluiti nella ampia voragine dell’astensione, in parte sarebbero stati ridistribuiti tra Cagliari e Sassari, con una percentuale maggiore verso il centrosinistra a Cagliari, dove il 26% degli elettori 5Stelle avrebbe scelto Zedda, mentre a Sassari il voto dei 5Stelle avrebbe premiato il centrodestra per il 33%. Di fatto, a distanza di meno di un anno, meno di un elettore su cinque ha confermato la sua fiducia al Movimento, sebbene si debba naturalmente tenere conto delle diverse dinamiche che si innescano tra elezioni “locali” e politiche. Il dato è comunque particolarmente rilevante, in quanto il M5S, non presente alle regionali del 2014, passa dall’oltre 42% delle politiche del 2018 all’11% circa delle regionali 2019, e questo non può non rappresentare un segnale fortemente negativo e di grande distanza tra il movimento e l’elettorato.
Quanto alla coalizione di centrodestra, la Lega ha di poco migliorato il dato rispetto alle politiche del 2018, è di tutta evidenza di come la vittoria sia della coalizione ed anche in questo caso, come si evince dall’analisi dell’Istituto Cattaneo, Forza Italia e Lega hanno fortemente contribuito all’accrescimento dell’astensionismo, pur aumentando di oltre il 24.5% il proprio elettorato rispetto alle precedenti regionali del 2014 e di oltre il 35% rispetto alle politiche del 2018. Quello che cambia è il partito a capo della coalizione, che da Forza Italia passa alla Lega di Salvini (assente nel 2014), mentre rilevante e indicativa, anche sotto l’aspetto politico, è la presenza nella coalizione del Partito Sardo d’Azione, che passa dal 4.7 delle regionali del 2014 al 9.8 di quelle del 2019. Un cenno, in ordine al successo del centrodestra in Sardegna, va alle liste locali presenti, sette su undici, che hanno fatto guadagnare alla coalizione il 27,5% dei voti sul totale del 52.4% delle liste, a partire dai consensi al Partito Sardo d’Azione, che, come detto sopra, ha sostanzialmente raddoppiato i propri voti rispetto alle regionali del 2014.
Quanto al centrosinistra, il risultato, anche tenuto conto della situazione generale, appare più che soddisfacente. A Cagliari Massimo Zedda ha dimostrato grande capacità di tenuta, pari a circa il 93% dell’elettorato dem del 4 marzo, con un margine di scostamento “fisiologico”, mentre a Sassari, pur con uno stacco superiore, tiene comunque il 70% dell’elettorato rispetto alle elezioni di marzo. Il risultato di Zedda, pari al 32.9%, è marginalmente superiore a quello della coalizione, che si attesta al 30%. Il PD è il partito più votato in Sardegna, confermandosi il perno della coalizione, sebbene arretri dal 22.1% delle regionali del 2014 al 13.4% delle ultime regionali.
Il dato del PD potrebbe essere un segnale di possibile ripresa, anche tenuto conto dell’esito delle primarie del 3 marzo, che comunque impongono un formidabile cambiamento di rotta, perché se è vero che sono presenti deboli, talvolta embrionali elementi di ripresa, è altrettanto vero che il PD deve riflettere e trovare efficaci soluzioni in ordine alla perdita di sei regioni in meno di due anni e che, pur mantenendo nove regioni, altrettante sono governate dal centrodestra che sta vivendo una forte fase espansiva. Ciò anche e soprattutto in considerazione degli appuntamenti elettorali dei prossimi mesi.
Altro aspetto da analizzare è quello dell’affluenza alle urne. Il 24 febbraio si è registrato un lieve aumento dell’affluenza rispetto alla tornata elettorale precedente, circa 1.5% in più. Tuttavia, al di là di questo marginale dato positivo dell’affluenza registrato in questa occasione, ha osservato l’analisi dell’Istituto Cattaneo, “il dato della partecipazione elettorale del 2019 è il secondo più basso nell’intera storia delle elezioni regionali dal 1949 ad oggi. Nel corso di questi settant’anni e delle 16 consultazioni regionali che si sono tenute in questo periodo, l’affluenza è diminuita di oltre 30 punti percentuali: fino al 1990, quasi l’85% degli elettori sardi, in media, si recava regolarmente alle urne, mentre nei decenni successivi si è osservato un calo progressivo della partecipazione, attestandosi tra il 60 e il 70 per cento fino al 2010, per poi scendere sotto il 60 per cento nell’ultimo decennio”. Un tale dato, fortemente preoccupante, è sintomo di una disaffezione alla partecipazione attiva dei cittadini alla politica, e di una distanza sempre più forte di quest’ultima dalle persone e dai problemi della gente. E urgente attivarsi per ricercarne ed analizzarne i sintomi e le ragioni e trovare soluzioni tese ad invertirne la tendenza.
Un’ultima riflessione, non per importanza, deve essere fatta sulla mancanza di donne elette nel centrosinistra, fatto che comunque costituisce una patologia e di fatto priva la sinistra di un’equilibrata espressione di genere.
Il voto in Sardegna impone una riflessione oltre che sulla capacità della sinistra e del PD che era al governo della regione di “fare sintesi” e di valorizzare la dialettica interna per raggiungere una sostanziale unità, accenno solo ad alcune contraddizioni-contrapposizioni, come quelle sulla legge urbanistica, sulla riforma sanitaria, sulle scelte di politica industriale, sulle politiche per le zone interne e su numerose altre questioni, anche sulla effettiva capacità di intercettare i bisogni delle persone e di portare avanti iniziative chiare, declinate con un linguaggio che possa essere compreso e riconosciuto ed accompagnate da fatti che vengano inequivocabilmente percepiti come un reale e fattivo interesse a migliorare la vita delle persone.
Perché al di là della comunicazione più o meno efficace, c’è un impegno ed un lavoro fatto dalla sinistra in questa regione non percepito dalla cittadinanza, ed allora vuol dire che, se dopo anni di impegno i risultati sono troppo lontani da un auspicato riconoscimento, qualcosa non ha funzionato, e sarebbe poco attento limitare il tutto ad una presunta inadeguata comunicazione, che pure c’è stata e sulla quale è comunque necessario interrogarsi.
Troppe questioni interne vengono percepite come una distanza abissale dalla realtà quotidiana, in un quadro sociale ed economico che ha continuato a rendere critica la vita delle persone, e tali distanze hanno consentito, complice un arretramento culturale generalizzato, di dar spazio a modelli autoritari e sovranisti che fanno presa sulle paure e sul disorientamento delle persone, incuneandosi negli spazi che abbiamo lasciato vuoti, con un approccio becero ma che, almeno nel breve periodo, sta dando risultati inquietanti.
Bisogna avere un programma, una nuova proposta, da far vivere tra la gente e con la gente. E’ necessario e urgente un ripristino di regole democratiche, il rispetto delle stesse, il rispetto del valore degli iscritti e di tutti coloro che si possono, e, aggiungo, vorrebbero riconoscersi in una sinistra aperta, inclusiva, che riporti la persona al centro del dibattito politico, in un percorso che in maniera sempre più decisa ci viene chiesto, le primarie del PD sembrano confermarlo, e che possiamo riprendere, proprio segnando nella discontinuità le premesse per la costruzione di una nuova fase politica.