Sinistra Autonomia FederalismoRipartiamo dalle idee e dai territori
Le ragioni della sconfitta e quelle per tornare ad essere coerenti e credibili
di Alberto Pili
L’operazione “Zedda, tutta un'altra storia” aveva implicitamente un messaggio liquidatorio verso l’esperienza del governo della Regione targato Pigliaru. Si può discutere a lungo su quanto sia stata giusta o sbagliata questa strategia, ma certamente non si può negare che l’operazione Zedda, “salvatore della patria”, sia partita molto in ritardo e soprattutto senza la fattiva collaborazione di tutti i soggetti che nelle istituzioni e nei partiti facevano riferimento al campo del centrosinistra.
Se da un lato la maggioranza del Consiglio Regionale uscente ha cercato in extremis di varare provvedimenti in grado di far recuperare consensi immediati (misure per l’abbattimento dei costi di trasporto degli studenti, stabilizzazioni di lavoratori precari etc.), dall’altro lato continuava a mietere insuccessi e a dividersi sui punti più qualificanti del suo programma di governo. Riforma delle Autonomie Locali (la riorganizzazione delle Province è un autentico obbrobrio), Riforma Sanitaria a metà (taglio dei costi senza un efficace riorganizzazione dei servizi e con liste d’attesa spaventosamente lunghe) e Legge Urbanistica affossata dal fuoco amico, sono solo la punta dell’iceberg che hanno portato Zedda e la coalizione alla scelta di presentarsi alle Elezioni proponendosi in discontinuità con la Giunta amica.
A questo si aggiunga la debolezza del quadro delle alleanze, dove il perno Partito Democratico, lacerato dalle guerriglie interne, con un organizzazione abbandonata a se stessa e con una pattuglia di amministratori locali sempre più risicata nei territori, ha avuto al suo fianco due piccole forze del 3% Leu e Campo progressista che insieme non raggiungono il dato di SEL alle ultime regionali. L’ operazione di costruzione di altre liste civetta per far crescere il numero dei candidati nei territori è stata debole e tardiva. Debole perché mancavano figure rilevanti della scena politica Regionale o comunque attori sociali conosciuti nei territori di provenienza, e poche erano le risorse per sostenere iniziative pubbliche e far conoscere simboli e candidati nuovi. Tardiva perché inventata due mesi prima delle elezioni, si pensi che nel campo del centrodestra la lista Sardegna Venti 20 (spin off da Forza Italia) era in campo da almeno 6 mesi.
La coalizione di Zedda ha inoltre perso la battaglia sui media, grazie soprattutto alla discesa in campo pesantissima di Salvini che ha oscurato o quasi tutti gli altri. Probabilmente non ha giovato la solitudine in cui Zedda ha condotto la sua campagna elettorale, con sale sempre piene di persone ma quasi sempre senza bandiere o simboli dei partiti che lo sostenevano, con gli esponenti della Giunta uscente assenti quasi del tutto dalle liste e con i Consiglieri ricandidati in evidente imbarazzo tra il dover far conoscere i provvedimenti positivi a cui avevano contribuito, e l’esigenza della strategia della discontinuità.
Certamente il risultato conseguito dalla coalizione progressista e da Zedda, il 33 %, è un segnale di esistenza e di resistenza, un punto da cui ricostruire un campo di forze e una proposta politica vincente. Ma questo segnale per diventare oggi radicamento e domani governo, ha bisogno di un impegno politico collettivo diffuso, di organizzazioni realmente democratiche e diffuse nei territori, di giovani che prendano il timone, di confronti con le persone, i sindacati, le organizzazioni di categoria, di idee e progetti che identifichino nettamente la proposta programmatica autonomista, federalista e Progressista e la facciano sentire propria dalla maggioranza dei Sardi. Un lavoro impegnativo, lungo, che richiede chiarezza nelle scelte, riconoscimento degli errori e orgoglio di appartenere ad una comunità. Servono coraggio ed unità’ ad una classe dirigente che troppo spesso si è fatta dettare l’agenda politica dagli avversari (cosa è stato, se non una cessione al populismo e all’antipolitica, il non aver preso una posizione chiara nel Referendum per l’abolizione delle Province?), si è divisa ed infine si è nascosta come accaduto alle ultime Regionali. Si apre un nuovo corso, si è detto in campagna elettorale, “è finita l’epoca dei tecnici e dei professori”, si ritorna alla Politica. Sono d’accordo, ma con l’auspicio che la nuova classe dirigente sia fatta crescere per meritocrazia e competenza, non per la fedeltà ai soliti capibastone, che i partiti siano inclusivi e democratici, che la formazione politica e amministrativa sia realmente praticata. Si riparta dal basso, dai circoli, dai Forum Tematici, dalle Università, dai comitati di quartieri e dai Consigli Comunali dei 377 Comuni Sardi. Si riprenda a discutere dei temi che riguardano i cittadini e non delle carriere politiche dei dirigenti di turno. Si ritorni ad essere coerenti e credibili e allora forse riavremmo con noi il nostro popolo.