Sinistra Autonomia FederalismoRipartiamo dalle idee e dai territori
Il tema dell'autonomia e di un nuovo federalismo - Nicola Manca
Il tema dell’autonomia e di un nuovo federalismo non può prescindere da una valutazione storica di contesto. Lo Stato non è una realtà astratta e immutabile, ma è legato alla qualità sociale, alla comunità e quindi una “sovranità come reale finito”. Definizione di Marx che considerava la democrazia come costruzione degli uomini ” l’uomo oggettivato “.
È il popolo che crea la Costituzione, ne determina i modi specifici sociali, l’idea stessa di comunità.
Lo Stato si configura con le sue funzioni ed i suoi apparati ed è qui (nella relazione si coglie bene questo aspetto laddove si parla di “bulimia legislativa”) che gli aspetti burocratici ed il “formalismo” prendono piede. Per la burocrazia lo Stato diventa il “suo corpo privato”.
La modernità ci ha reso più consapevoli e con la rivoluzione francese si svelano le differenze di classe come differenze sociali : “non più uguali in cielo e disuguali in terra.”
Nelle società capitalistiche il singolo individuo è sciolto da legami naturali, oggi si direbbe che è un soggetto “atomizzato”.
La dissoluzione delle forme feudali ha determinato un nuovo individuo, espressione nel suo divenire delle nuove forze produttive ed oltre. Delinea un insieme più ampio: famiglia, tribù, comunità, mescolanza di soggetti.
Nella nuova configurazione sociale l’individuo è uno strumento di fini privati, pervaso dal mercato, consumatore sempre più isolato.
Nella globalizzazione asimmetrica ogni forma di produzione produce nuovi strumenti giuridici ed anche uno Stato di diritto che è il riflesso anche dei rapporti sociali, il “diritto del più forte”. Che nesso c’è con la riflessione che qui viene proposta sulla nuova carta federalista?.
Trovo ci sia nel contesto attuale, nella crisi degli Stati nazione e nel centralismo burocratico delle Istituzioni regionali.
In Sardegna il diritto del più “forte” poggia su strati sociali e classi, collusi con il centralismo e le forme attuali di dipendenza dai nuovi processi di colonizzazione interna.
Con la colonizzazione subita dai Savoia e con l’unificazione del 1848 si cancellano l’identità, l’autonomia, l’asservimento è stato un passaggio cruciale.
Per cambiare non credo basti un nuovo statuto ci vuole, credo, una forte discontinuità con il passato, un’idea nuova di autogoverno.
Il punto sostanziale, a mio avviso, è questo: nella crisi degli Stati-nazionali e nell’emergere di posizioni sovraniste quali risposte dare, quali soggetti unificare come ricostruire un tessuto sociale coeso ridare un senso forte alla comunità.
Non siamo negli anni del primo novecento. Il nazionalismo di allora era espansivo quello attuale è difensivo ma può alimentare false risposte illusioni e chiusure .
Non c’è dubbio che sul piano più generale si debba condividere la spinta la mobilitazione di quanti si battono per gli Stati Uniti d’Europa.
Una battaglia difficile che può avere tappe intermedie, una zona euro che armonizzi le politiche fiscali e monetarie, una Banca centrale sul modello della Federal Reserve System,
un’Europa più comunitaria non intergovernativa e con un Parlamento deliberate.
In una recente intervista Francois Hollande, ex Presidente della Francia, ha sostenuto che la sinistra ha perso perché ha gestito male la sicurezza e l’immigrazione.
Dovremmo aprirci ad una riflessione rigorosa su questi temi e sulla crisi del multiculturalismo.
Bernard Lewis, orientalista e profondo conoscitore del mondo mussulmano e dell’islam, sosteneva che l’islam non ha subito un processo di secolarizzazione e “il date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio ” non si è realizzato nelle comunità mussulmana.
Altri studiosi – Guolo, Kepel – pongono il tema di uno sviluppo democratico dell’islam politico ben oltre le facili semplificazioni di chi sostiene che l’islam è portatore di un messaggio di pace.
Il punto di sostanza è l’accettazione dei diritti, il riconoscimento nelle società complesse della “cittadinanza” della non separatezza che preclude ogni forma di convivenza. Non parlo ovviamente degli aspetti culturali dei costumi e delle diversità che sono un valore.
Nella relazione si parla di “catastrofe antropologica” e di “crollo demografico” per quanto concerne la Sardegna: invecchiamento, scarsa natalità derivano da un cambiamento sociale profondo che non aiuta la crescita di un popolo: la Sardegna vive un ripiegamento segnato da uno spirito di rassegnazione: i giovani emigrano i paesi si spopolano.
Dobbiamo scavare e capire per superare una crisi che ci sovrasta, per farlo occorre scegliere chi e cosa difendere e chi rappresentare.
L’indipendentismo è una maschera per restare fermi: indipendenti da chi? Nella seconda relazione di Demuro si richiamava la continuità e lo spirito autonomistico autentico si rimarca un dato connotante: “siamo liberi da” al “siamo liberi di” . In fondo questa idea sottende – e se volete si può coniugare – con una forma di autogoverno che rompa con il centralismo e il” bulimismo normativo”. Non il bastare a noi stessi come orizzonte chiuso asfittico ma un modo per affrontare la globalizzazione. Non una omologazione, ne un vacuo cosmopolitismo che uniforma il pensiero sradica culture appartenenze e si configura come uno scimmiottamento.
L’identità di una comunità, di un popolo, va ricercata ritrovando le proprie radici e memoria da far vivere in rapporto alla complessità del mondo che cambia.
Per ritrovare la sovranità -non quella leghista o lepenista che ha tratti xenofobi e razzisti- l’unica strada è ripartire dal basso, dai soggetti che vogliamo rappresentare in ultima istanza dal popolo e dalla qualità del corpo sociale.
Le relazioni introduttive indicano un percorso chiaro di iniziativa e lotta politica.
Ghilarza 28 aprile 2018