Sinistra Autonomia FederalismoRipartiamo dalle idee e dai territori
Autonomia e Federalismo - Nicola Sanna
Nel testo “Il diritto federale” nel 1973 Carlo Cattaneo scriveva: “ Ogni popolo può avere molti interessi da trattare in comune con altri popoli; ma vi sono interessi che può trattare egli solo, perché egli solo li sente, perché egli solo li intende. E vi è inoltre in ogni popolo anche la coscienza del suo essere, anche la superbia del suo nome, anche la gelosia dell’amata sua terra. Di là il diritto federale, ossia il diritto dei popoli; il quale deve avere il suo luogo, accanto al diritto della nazione, accanto al diritto dell’umanità”
Concordo con Ortu quando dice che per noi, millennials, della globalizzazione, un mini-Stato sardo sarebbe inevitabilmente preda delle forze più grigie del capitalismo.
L’autonomia non può scindersi dal concetto di autosostenibilità delle società locali (Che nelle molte declinazioni riguardano la sovranità intesa come Sovranità alimentare e energetica, il governo collettivo dei beni comuni, i modelli produttivi e di consumo a valenza etica fondati sulla valorizzazione durevole delle risorse, l inclusione sociale, ‟ Il riconoscimento del mondo rurale come produttore di beni e servizi pubblici ecc), come presupposto essenziale per trasformazioni del modello di sviluppo capaci di produrre relazioni solidali e non gerarchiche fra società locali.
Autonomia odierna e forse del passato significa dunque assumere le politiche e le azioni verso l ‟ autosostenibilità in una duplice direzione: da una parte verso la riduzione dell impronta ecologica ‟ (condizione essenziale per poter tenere relazioni di scambio solidali e non gerarchiche con altre regioni del nord e del sud del mondo);
e dall altra verso la ‟ crescita di forme di autogoverno, attraverso la sottrazione progressiva ai grandi apparati tecno-finanziari e produttivi della globalizzazione economica, della sottrazione quindi degli strumenti del loro dominio omologante e distruttivo sul “diritto dei popoli”. Ipotizzerei per una nuova Autonomia, in altri termini che si affermi una democrazia locale, ecologica, solidale, capace cioè di tessere reti federative dal basso. Una Autonomia che possa costituire un importante antidoto ai modelli imperial-militari tipici della globalizzazione economica. La crescita della cittadinanza attiva verso forme di autogoverno locale e il recente sviluppo di processi partecipativi dai municipi ai circondari, alle province, alle regioni configurano un percorso che la Rete del Nuovo Municipio ha definito federalismo municipale solidale. Questa definizione comporta un assunto centrale: che il federalismo si costituisca “dal basso”, come federazione di reti di municipi che siano a loro volta espressione della sovranità popolare. Il progetto di federalismo municipale solidale affonda le radici in uno scontro nei tempi lunghi della civilizzazioni europee e mediterranee, fra sovranità municipale federata in reti sovralocali e centralizzazione statuale: La domanda di autonomia proviene dai lontani conflitti per l autonomia delle colonie greche (polis) dalla ‟ città madre (metropolis), passando per la federazione delle unità governative etrusche, al municipio romano interprete della respublica, dei concetti di civitas , Proseguendo fino alla sovranità popolare e dello stato federativo- municipale in epoca repubblicana, Fino ai Comuni medievali e alle loro leghe e federazioni, Passando per il conflitto nella rivoluzione francese fra costituzione municipale/partecipata e centralistica statuale, fino allo scontro, dopo l unità d Italia, che ha superato i modelli federativi aderendo ai modelli ‟ ‟ centralistici dello stato Il federalismo attuato attraverso riforme costituzionali di questa epoca repubblicana però non funziona Perché non è stato anticipato da comportamenti pratici di tipo autonomista. Questo percorso concreto verso il federalismo, che ha come asse portante e nucleo fondativo la democrazia partecipativa, si pone dunque in antitesi al “federalismo di stato”, Federalismo di Stato che procede dall alto verso il basso attraverso il decentramento istituzionale ‟ (devolution) che produce politiche “decentrate” di nuovo accentramento e esclusione nel sistema decisionale e che può presentare risvolti egoistici di de-solidarizzazione che portano ad un tragico separatismo. Condivido ancora quanto dice Ortu sul fatto che Noi dobbiamo continuare a pensare, sulla traccia della grande tradizione federalista italiana ed europea e della tradizione federalista sarda (da Giovanni Battista Tuveri ad Antonello Satta), e cioè che il federalismo resti un importante progetto politico su entrambi i livelli della sua costruzione, quello italiano e quello europeo. “Il federalismo, in quanto struttura per partecipare e far partecipare i cittadini, è finalizzato all’obiettivo di costruire le condizioni per lo sviluppo politico e per lo sviluppo locale, basandosi sulle proprie risorse finanziarie, professionali e politiche, e di sviluppare gli strumenti locali e non, della democrazia deliberativa” Dunque un federalismo che promana “dal basso”; anche perché è solo nella dimensione locale (quartiere, municipio, piccola città, paese) che si può esprimere compiutamente la democrazia partecipativa attivando tutte le componenti sociali in forme dirette nel processo: la federazione delle componenti sociali in un processo partecipativo locale è l atto costituente ‟ primario di un processo federativo ai livelli superiori di governo, fondato sull applicazione integrale del ‟ principio di sussidiarietà. Per questo motivo, per attivare questi atti costituenti, anche la grande città va scomposta in unità decisionali a misura della partecipazione di tutti, per poter attivare forme di relazione in cui ciascuno, riferendosi agli ambiti della vita quotidiana, riesca a esprimere e comunicare il proprio stile di vita, immaginare il proprio futuro e confrontarlo in narrazioni collettive. Solo a partire da percorsi decisionali di cittadinanza attiva a livello della comunità locale è possibile attivare a livelli territoriali più vasti reti non gerarchiche e sussidiali che siano espressione derivata della democrazia di base: province e regioni dei comuni Un altro elemento critico è rappresentato dal fatto che quella «associazione di Stati» che è oggi l’Unione europea (la definizione è della Corte costituzionale tedesca) ha espresso il massimo potenziale di coesione sul versante economico, e non senza contraddizioni, però . Le politiche economiche dell’Unione sono state infatti caratterizzate da un neoliberismo ibrido, che lascia mano libera alle forze del mercato e allo stesso tempo pone dei freni alle produzioni nazionali, con la conseguenza in entrambi i casi di condizionare l’esercizio della democrazia e dei diritti civili nei paesi membri. La questione dell’autonomia è quindi una grande questione democratica del popolo sardo. La motivazione della «specialità» del nostro statuto insisteva infatti, essenzialmente, nella condizione di grave svantaggio economico dell’isola e non già nel riconoscimento dei autogoverno di un popolo. Dicono bene coloro che, come fa Ortu, che quest’oblio della storia e della cultura della Sardegna portava con sé, inevitabilmente, l’oscuramento della personalità e soggettività del suo popolo, I pianificatori del nostro passato hanno considerato un ostacolo allo sviluppo economico e civile dell’isola tutte quelle eredità e depositi della tradizione che oggi inscriviamo nel concetto di heritage, di patrimonio storico e culturale, cui possiamo attingere per i progetti di sviluppo locale. Viviamo in un tempo di decisioni fortemente contraddittorie Il Governo regionale ha tentato di coglierla Nella legge sul «Riordino del sistema delle autonomie locali della Sardegna», che ha però offerto il fianco a una forma di autogoverno dei sardi senza alcun rapporto con la storia dell’Isola. Una di queste contraddizioni è l’istituzione della Città metropolitana di Cagliari.
Una scelta che determina un ulteriore divario e distacco dell’unica area che in Sardegna ha conservato un importante tessuto industriale e che detiene, con Cagliari, le principali funzioni direttive, mentre il restante territorio regionale, retto da commissari, è da sei anni senza neppure una rappresentanza politica; Ma i Comuni non possono essere espressione(e/o ostaggi) dei poteri forti, ovvero le politiche locali non possono essere terminali delle strategie del mercato globale (e i crescenti tagli alla finanza locale acuiscono il problema della dipendenza), le reti di comuni si svuotano di significato, risultando semplici crocevia funzionali di reti globali, oggetto e non soggetto di politiche tese alla concentrazione delle imprese, delle istituzioni finanziarie e commerciali, dei gruppi immobiliaristi, delle public utilities, nella ricerca di posizionamento verso l alto nella ‟ competizione globale. Va ad esempio in questa direzione un idea di “città metropolitana” perseguita come processo di ‟ concentrazione e privatizzazione di servizi, infrastrutture, strutture logistiche per competere nel mercato globale. In un territorio posturbano di reti e di flussi questa visione cerca soluzioni ai problemi di crisi/ristrutturazione della metropoli postfordista (o dell informazione o della conoscenza) concependo la ‟ “modernizzazione” della città metropolitana come aumento di potenza nella competizione globale. Questa crescita perseguita attraverso l inclusione gerarchica di città e territori periferici, la realizzazione di ‟ grandi opere (megainfrastrutture, piattaforme logistiche, moltiplicazione degli scambi e la velocificazione di merci e persone nel mercato mondiale, ricercando lo sviluppo di megafunzioni di produzione, di consumo tipici di una “città globale”. Questo percorso aggregativo di reti e funzioni gerarchiche, di crescita di tecnostrutture e mega- apparati finanziari, di privatizzazione di servizi, crea però diseconomie, altissimi costi e nuove povertà, esclusione e disintegrazione sociale: per la concentrazione degli investimenti in megaopere che precludono gli investimenti nel miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni più periferiche; si accentua l atomizzazione e precarietà dei lavori, delle relazioni, dei consumi; ‟ E aumenta nel contempo la concentrazioni di impresa e del potere finanziario Determinando il continuo processo di dissoluzione delle relazioni sociali e degli spazi collettivi; Tutto cio comporta l aumento dei costi associato sostanzialmente a fenomeni di ‟ dumping salariale e di dumping ambientale; Tutto ciò comporta l aumento del degrado ambientale e dei costi sociali e materiali di riproduzione della ‟ vita materiale e di relazione. In sintesi questo modello fondato esclusivamente sulla competizione economica genera un aumento insostenibile dei costi scaricati sulla collettività facendo crescere il divario fra PIL e benessere, anche nei paesi sviluppati; divario che si risolve in una crescita di povertà assoluta nel sud del mondo, ma anche di povertà relative nella metropoli occidentale. In questo percorso la perdita di sovranità dei diversi livelli dell amministrazione locale incrementa ‟ ulteriormente una spirale perversa di concentrazioni e privatizzazioni di servizi e di beni comuni, allontanando sempre più i sistemi decisionali e le macchine finanziarie dai livelli di decisione accessibili ai cittadini. Tuttavia si può dare una seconda visione di città metropolitana come rete federata policentrica di città, ognuna delle quali è espressione di autogoverno della propria cittadinanza attiva, in cui i governi locali hanno come obiettivo competitivo la felicità pubblica, attraverso la gestione sociale dei beni comuni, il riequilibrio fra crescita economica e benessere La ricostruzione della civitas in questa visione richiede azioni di risanamento e riqualificazione delle città e delle reti attraverso la cura delle malattie da ipertrofia, congestione, degrado della qualità della vita e del benessere per la produzione di ricchezza durevole; Occorre quindi la riorganizzazione dei territori delle regioni urbane in reti solidali non gerarchiche di città, ciascuna in equilibrio con il proprio ambiente. Le politiche strategiche di questa visione riguardano la ricostruzione dello spazio pubblico, la riconnessione multifunzionale della città con il proprio territorio sociali connessi alla mobilità mondiale e regionale di merci/persone legate Le politiche strategiche di questa visione riguardano la ricostruzione dello spazio pubblico, la riconnessione multifunzionale della città con il proprio territorio socialmente connesso alla mobilità mondiale e regionale di merci/persone legate delle peculiarità dei propri giacimenti patrimoniali in forme lente e agricole o rurali (chiusura locale dei cicli delle acque, dell alimentazione, dei rifiuti, la riqualificazione ‟ delle reti ecologiche, la produzione locale di energia, l attivazione di reti corte di produzione e consumo, ‟ ecc), la crescita della qualità dei nodi urbani nel contesto ambientale e rurale di riferimento, la valorizzazione delle identità urbane, paesistiche, culturali locali. Una città metropolitana di questo tipo non porta i propri abitanti nel baratro della globalizzazione del nulla, della disastrosa corsa verso il basso: questa diversa rete metropolitana libera energie propositive di scambi solidali e non gerarchici con il resto del mondo, in quanto sviluppa autonomia (culturale, economica energetica, ambientale), stili di vita originali, scambio di beni peculiari e irripetibili. I municipi che si muovono in questa direzione acquistano la forza per praticare queste strategie se si fanno portatori istituzionali degli interessi collettivi della comunità locale, emergenti da forme di democrazia partecipativa ai livelli locali adeguati come pratica ordinaria di governo; allora il federalismo dal basso, la costruzione di reti sussidiali di città a diversi livelli territoriali, esprime la necessaria messa in comune dei problemi, delle pratiche, delle soluzioni di problemi strategici citati alla giusta scala territoriale, senza perdere il filo conduttore dell autogoverno municipale. ‟ Se il comune è espressione della cittadinanza attiva esso è infatti in grado di esercitare autogoverno, e dunque federare entità territoriali socioeconomiche e culturali, dotate di identità, peculiarità, diversità. In questo percorso la federazione non gerarchica di città si dovrebbe affrontare, in ogni suo nodo municipale, la complessità dei campi dell autogoverno, ovvero il campo politico, economico, sociale e ‟ culturale, in cui si collocano, alle scale appropriate delle azioni, i quattro livelli autonomia/autodeterminazione, cooperazione conflittuale, adeguamento/sussidiarietà partecipazione /organizzazione policentrica.
I municipi che si federano a partire dagli obiettivi di crescita della cittadinanza attiva per l autogoverno del ‟ proprio futuro, si candidano ad esplicitare trasformazioni del modello di cooperazione conflittuale, adeguamento/sussidiarietà, sviluppo verso l autosostenibilità, l equità, l elevamento del benessere individuale e sociale, ‟ ‟ ‟ la valorizzazione dei patrimoni ambientali, territoriali e culturali in funzione dell elevamento del benessere. ‟ Estendendo il concetto di cittadinanza attiva dalla rivendicazione di diritti alla produzione sociale di valori d uso, ‟ dal conflitto alla produzione diretta del proprio ambiente di vita, a partire dalla produzione dei beni comuni di vicinato, è possibile superare la dicotomia fra uso pubblico e uso privato del territorio e del governo dei suoi beni patrimoniali, reintroducendo il concetto “terzo” di uso comune di molti di questi beni. Questo uso comune dovrebbe riguardare molte componenti territoriali e sociali che sono in via di strisciante privatizzazione e di sottrazione alla fruizione e alla gestione collettiva: oltre all acqua, l energia, la salute, l informazione, l alimentazione, anche le riviere marine, lacustri e ‟ ‟ ‟ ‟ fluviali, molti paesaggi agroforestali semplificati, degradati e recintati, molti spazi pubblici urbani (sostituiti da parcheggi, supermercati e centri commerciali); gli spazi aperti interclusi della città diffusa, delle villettopoli e della disseminazione dei capannoni industriali, le gated communities e le città blindate, i paesaggi degradati e anonimi delle periferie urbane, la ricca rete della viabilità storica (sostituita dai paesaggi semplificati delle autostrade e superstrade) e cosi via: in una parola il territorio. A tutti questi luoghi sociali del territorio “erosi”, recintati, privatizzati, occorre che i municipi che praticano la democrazia partecipativa come forma ordinaria di governo, federandosi in ambiti territoriali coerenti con la scala dei problemi, restituiscano il valore statutario di bene comune, dotato di autonomia rispetto ai beni privati e pubblici; e che individuino forme di gestione collettiva e comunitaria che consentano di riprendere il significato e i principi (non necessariamente la forma storica) degli usi civici. La democrazia partecipativa in questo percorso ha il ruolo di valorizzare il “saper fare” sociale, indirizzando il produrre, l abitare, il consumare verso forme relazionali, solidali, pattizie e comunitarie, sviluppando reti ‟ civiche e forme di autogoverno responsabile delle comunità locali. Per esempio “il governo dell acqua e delle forme energetiche alternative obbligano a pensare ad un ‟ modello decentrato, distribuito e differenziato nel territorio, un uso di diffuse e contenute sorgenti alternative, una gestione oculata e comunitaria delle acque, un governo locale (federato?) dell acqua e ‟ della produzione energetica, del suo uso” . Il problema principale di questa prospettata inversione di tendenza dei processi di privatizzazione e mercificazione dei beni comuni è infatti che non si può dare una gestione del territorio come bene comune se esso è gestito da una sommatoria di interessi individuali in una società individualistici di consumatori Si sta verificando, a partire dai processi partecipativi locali uno straordinario processo di costruzione di reti che vanno assumendo il ruolo di far uscire le singole esperienze dal localismo “Nimby”, verso la capacità propositiva di trasformazione del concetto di interesse pubblico e di progettualità alternativa.
Il “mettersi in rete” … fa parte del tentativo di molte esperienze locali di non rinchiudersi nella dimensione localistica e autocentrata, ma di costruire a partire dal proprio frammento un disegno comune di trasformazione e di innovazione sociale e politica). La costruzione di reti solidali allude a un precorso federativo che pur non negando le peculiarità dei luoghi, dei percorsi partecipativi, degli obiettivi, fa maturare nel confronto e nella relazione non gerarchica, strategie generali di interesse comune. Se ci riferiamo poi al livello delle reti di città a livello europeo è urgente avviare una rappresentazione dei nodi, delle reti e delle relazioni che caratterizzano lo spazio europeo; in questa rappresentazione andrebbe fatta maggiore attenzione denotativa non solo ai progetti istituzionali (quali INTERREG, URBAN, URBACT, oltre a URBAL o ASIA URBS) che guardano anche al rapporto con altre città’ di altri continenti, sistemi urbani policentrici che caratterizzano molte politiche metropolitane europee ma anche a tutte quelle reti di città, di sistemi territoriali locali che si sono andate costituendo su base volontaria. Queste reti non sono solo di tipo competitivo, finalizzate cioè ad elevare il rango delle città piccole e medie nella competizione economica globale (anche se queste hanno avuto un grande sviluppo e determinano politiche sovranazionali) Questa molteplicità crescente di reti promuovono politiche solidali, coordinando azioni locali, a livello europeo e mondiale, in campo sociale, culturale, ambientale, dei processi partecipativi, della cooperazione decentrata a livello comunale e regionale, della pace, destinate a creare nuovo protagonismo municipale nel contesto decisionale europeo Si profila in altri termini un nuovo protagonismo delle città che non solo modifica la geografia dello spazio europeo verso un alta densità di relazioni multipolari, ma può modificarne i contenuti costituzionali e il ‟ sistema decisionale. Il discorso sullo Spazio Europeo e sulla costituzione nasce in fondo da un dialogo fra gli stati, mentre queste reti che già operano, già hanno i loro programmi, i loro obiettivi e potrebbero rappresentare una geografia anche parzialmente diversa rispetto a quella istituzionale Quindi l Europa delle Regioni (Euroregioni) e dei Comuni, affiancandosi e integrando l Europa degli stati ‟ ‟ nazione (la cui costituzione è già in crisi), può prospettare nuovi orizzonti programmatici e di ruoli arricchendo i sistemi decisionali attraverso forme di federalismo municipale solidale. Mettendo in valore queste energie costituenti “dal basso” l Europa si potrà dotare di un progetto ‟ identitario autonomo che superi il suo status attuale di crocevia di potenze economico-miltari globali, ”l Europa ha una alternativa rigida: ‟ o dotarsi delle risorse e strutture per una vita autonoma o diventare appendice di un occidente che farà altrove le sue scelte, trascinandola con la forza o per inerzia al servizio dei propri interessi” un concetto di Europa che si fondi sulla valorizzazione delle peculiarità delle culture e dei giacimenti patrimoniali locali, attivando un principio di cittadinanza europea che trovi le sue radici nella federazione di regioni e di città autonome organizzate ciascuna con forme di democrazia partecipativa come forma ordinaria di governo.
Nicola Sanna
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Ghilarza 28 aprile 2018