Sinistra Autonomia FederalismoRipartiamo dalle idee e dai territori
Ringrazio per la partecipazione gli ospiti presenti in sala, e gli organizzatori per avermi rivolto l’invito a moderare un dibattito di grande attualità.
L’argomento del convegno merita una particolare attenzione in quanto non si tratta di una mera questione tecnico-amministrativa, come si potrebbe pensare dal suo nome un poco oscuro ed enigmatico.
Si tratta invece di un processo di grande trasformazione delle autonomie regionali che ha una sua valenza politica, sulla quale la Sardegna e il popolo sardo dovrebbe ragionare e avviando un’approfondita riflessione.
Questo convegno è organizzato da “Sinistra Autonomia e Federalismo” e per riprendere la definizione usata da Salvatore Cherchi, si presenta come “un gruppo di volenterosi che non si rassegnano alla caduta del dibattito sulle questioni centrali di cui è investita la società italiana e la società sarda”.
Ringrazio quindi Salvatore Cherchi, Gianmario Demuro e agli altri amici e compagni per aver dato la loro disponibilità a portare un qualificato contributo a questa assemblea-dibattito che sarà quindi aperta anche alle riflessioni degli ospiti presenti in sala.
E' evidente la valenza politica del regionalismo differenziato!
Infatti i criteri e le modalità di attuazione possono a nostro avviso modificare gli assetti nell’erogazione dei servizi pubblici nazionali, strategici per la coesione sociale. Gli stessi condizionerebbero la competitività economica e potrebbero alterare la parità di accesso ai diritti di cittadinanza, introducendo una pericolosa disarticolazione dell'Italia, nei suoi diversi livelli istituzionali. Ciò metterebbe infine in discussione il principio di Unità Nazionale su cui si fonda la nostra Repubblica.
Introduco l'argomento odierno ricordando gli echi e le suggestioni positive, ed ancora attuali, che sono emerse da un dibattito tenutosi qualche giorno fa ad Armungia “Un’ economia per l uomo e per la natura, idee per il ripopolamento di un territorio”. Durante quest’incontro sono emersi elementi di riflessione che rappresentano i nodi centrali di cui si deve occupare la politica.
È nostro compito elevare il dibattito sulle questioni che più di tutte riguardano la vita diretta dei cittadini, la quotidianità e le difficoltà che incontrano in un mondo globalizzato e che ha piegato le esigenze e le priorità sociali, alla fredda finanza e all’ economia dei numeri e non delle persone.
Il tema fondamentale è stato quello della disuguaglianza perché privilegiare l'economia finanziaria sull'economia reale evidentemente ha portato a sperequazioni e a divari economici e sociali oggi difficilmente colmabili.
Spetta a noi affrontare con maggior vigore questi temi, attraverso un'analisi approfondita della crisi radicale del modello di capitalismo, che ci porta impietosamente a tracciare i contorni di una crisi umanistica ed ecologica.
Infatti non può esserci agenda, a qualsiasi livello istituzionale, in cui non sia ricompreso il tema dell'ecologia, della salvaguardia dell'ambiente e della natura come elemento di incidenza economica e sociale primario.
Parto da questo assunto per dire che le istituzioni pubbliche debbono garantire l’uguaglianza e lo stato di diritto.
Il nuovo modello di democrazia per gli uomini non può prescindere dai 5 punti che il Prof. Giangiacomo Ortu ha evidenziato nella sua relazione, cui rivolgo un saluto in quanto non ha potuto partecipare per un impedimento familiare.
Li riepilogo nella loro sintesi:
1 ricerca di una economia che abbia come fine l'uomo e non solo il capitale
2 il lavoro inteso come espressione di facoltà creative e non solo come energia animale
3 devono essere garantiti i diritti di libertà, di cittadinanza, dell'ordine sociale e i valori etici
4 lo Stato operi all'interno dello stato di diritto, che contempli le libertà democratiche espresse dai cittadini
5 cooperare e non configgere con le regole che ci impone la natura.
Ho voluto fare questo riferimento perché in questi punti si evidenzia ciò che la politica deve tener presente nel suo esercizio democratico.
In particolare la tutela dei diritti di cittadinanza, di uno stato di diritto che salvaguardi l’unità e la solidarietà nazionale. Pervengo quindi per analogia al tema del nostro convegno.
Quanto questi principi e queste istanze sono fatte salve nel percorso del regionalismo differenziato?
Partirei da questi capisaldi per introdurre per sommi capi quelle che sono le conseguenze derivanti dal completamento del processo di riconoscimento di ulteriori forme di autonomia.
Il tema del riconoscimento di maggiori “forme e condizioni particolari di autonomia” alle regioni a statuto ordinario, come recita l'articolo 116 terzo comma della Costituzione, si è imposto al centro del dibattito politico nazionale a seguito delle intese preliminari siglate dalla Lombardia, dall’Emilia Romagna e dal Veneto, sul finire della precedente legislatura.
A febbraio 2018, le Regioni e il Governo, segnatamente con la Presidenza del Consiglio e il Ministro per gli Affari Regionali, hanno siglato intese che sono tuttora oggetto di un negoziato aperto con l’attuale Governo.
Si deve tuttavia registrare che a queste prime tre regioni sono pervenute ufficialmente al Governo le richieste anche del Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria , Marche e Campania.
Cosa comporterebbe per l’Italia, per le regioni del Sud, in relazione a questi diritti, a questi principi l’attuazione del regionalismo differenziato? Si potrebbe configurare una secessione come richiamata da Gianfranco Viesti, nella sua pubblicazione digitale, che ha proprio come titolo "Verso la Secessione dei Ricchi?"
Desidero porre l’accento su alcune questioni: non intendendo tuttavia anticipare nulla di quanto potrà essere spiegato dai relatori.
In primis, c'è da sottolineare il peso così determinante delle intese preliminari, che pare releghino al Parlamento un ruolo marginale o semplicemente ratificatorio; ancorché l’attribuzione di tali forme di autonomia deve essere decisa con “legge rinforzata”, cioè a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. Attribuendo alle regioni a statuto ordinario un potere contrattuale, derivante dalle intese, esso potrebbe essere addirittura superiore a quello delle regioni a statuto speciale. Si evince che il Parlamento e i cittadini sarebbero quindi privati di qualsiasi potere di iniziativa in quelle materie.
Il massiccio trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni del Nord (tutte le 20 materie di potestà legislativa concorrente per la Lombardia, 20 per il Veneto cui si aggiungono le 3 materie riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato e 16 per l’Emilia Romagna), fa comprendere che il trasferimento di queste funzioni necessiti di un fabbisogno finanziario importante.
Da qui la richiesta di attribuzione di risorse derivanti dalla fiscalità generale.
Infatti è stata avanzata la richiesta dell’attribuzione dei 9/10 dei tributi quali IVA, Ires e altri tributi regionali.
In sintesi, la richiesta è che la ricchezza prodotta in quella regione venga distribuita nella stessa regione, per poter far fronte a queste attribuzioni di competenze, si vuole in qualche modo azzerare il cosiddetto “residuo fiscale” che è pari alla differenza tra quanto pagato dai contribuenti residenti in quella regione e quanto trasferito dallo Stato.
Il tema del residuo fiscale conduce ad un ragionamento piuttosto concreto secondo cui, attraverso l’analisi dei dati, le regioni del nord potrebbero ricevere una quantità maggiore di trasferimenti rispetto anche ai livelli definiti con la spesa storica finora utilizzata come parametro di riferimento.
Quindi è fondamentale trovare percorsi atti a mantenere un’articolazione territoriale compatta, equilibrata e giusta riguardo allo Stato Sociale, ai servizi legati all'istruzione, ai diritti civili, ai diritti di cittadinanza di ogni italiano al fine di far venir meno il principio solidaristico e di perequazione economica e sociale sanciti dalla nostra Costituzione.
La disarticolazione del sistema istituzionale e dei servizi pubblici nazionali genererebbe un pesante peggioramento della condizione economica, in particolare delle regioni del Sud, già caratterizzata da un'economia che presenta evidenti elementi di strutturale debolezza.
Per questo basti pensare che se si dovesse verificare una differenziazione nelle prestazioni dei servizi legati alla scuola e all’istruzione, fino ad arrivare ad incidere nei contratti di lavoro, si creerebbero disparità sociali notevolissime.
Infatti la capacità di mantenere equilibrati livelli di istruzione, in particolare quella universitaria tra il Nord e il Sud, deriva dalla capacità di stabilire misure perequative in quanto la capacità fiscale, come noto, è molto disomogenea fra le regioni. Se invece la qualità dei servizi fosse in funzione della capacità fiscale, questo farebbe venir meno l'equilibrio sociale e culturale, che per i principi di uguaglianza e solidarietà non può essere ancorato solo alla situazione economica. Infatti in quel caso, il diritto di accesso allo studio resterebbe ad esclusivo appannaggio delle classi economicamente avvantaggiate.
Si pone quindi il problema di trovare le misure compensative perequative.
Introduco quindi il terzo punto che rappresenta un fondamento dei principi del federalismo fiscale, cioè la definizione dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni) su tutto il territorio nazionale, quindi la definizione dei fabbisogni finanziari standard, nel settore della sanità, dell'istruzione, dell'igiene pubblica e della sicurezza, le cui analisi e studi sono molto lontani dall’obbiettivo fissato.
Quali scenari si configurano in Sardegna e quali conseguenze possono derivare da questi percorsi di autonomia differenziata?
Credo non sia sufficiente analizzare le azioni che altre regioni italiane stanno compiendo per rispondere in modo più efficace alle istanze dei cittadini e per affrontare in modo più competitivo le sfide della globalizzazione. Ritengo invece che i sardi debbano affrontare con maggior vigore i problemi che ad oggi sono rimasti irrisolti. Si deve con maggior consapevolezza affrontare i dibattiti più attuali così come quelli meno recenti che in qualche misura pare abbiano perso importanza rispetto alle attese e all’immaginario dei sardi.
Dibattiti politici e sociali che tuttavia debbono ancora avere la forza di imporsi in quanto capaci di generare visioni e orizzonti che si traducono in politiche di sviluppo e crescita che consentono di ridurre il divario competitivo con le regioni italiane ed europee.
Mi riferisco alla questione della mancata realizzazione dei punti Franchi doganali, che ci avrebbero consentito di avviare processi di sviluppo strutturali e di superare almeno in parte la condizione di fragilità e debolezza economica, capaci di promuovere una maggiore coesione sociale. C’è necessità di riportare all’attenzione del dibattito nazionale la condizione di svantaggio dovuta all’insularità, ai problemi legati alla disoccupazione, allo spopolamento e al preoccupante divario nella formazione e nell’istruzione che ci fa precipitare in fondo alla classifica delle regioni europee.
E’ importante quindi attivarsi affinché i percorsi di trasformazione delle autonomie regionali siano attuati nel rispetto dei principi costituzionali, ma è altrettanto importante adottare iniziative di lungo respiro, che si traducano in riforme, in politiche di sviluppo di cui dovrebbe farsi interprete la classe dirigente regionale per dare una prospettiva di sviluppo, più che mai attesa, di una nuova rinascita economica e sociale della Sardegna.
Cagliari, 14 ottobre 2019.