Sinistra Autonomia FederalismoRipartiamo dalle idee e dai territori
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Cercherò di dimostrare che l’Italia ha bisogno di realizzare un regionalismo fondato sulla differenziazione, non sono certamente a favore di una diseguaglianza né di una disunità della Repubblica che sono contenute nella proposta leghista, ritengo, tuttavia, che il riconoscimento del principio di differenziazione, che era alla base dell’idea stessa di Costituzione, in questi anni in realtà, anche a seguito della Riforma del Titolo V Cost., si è andato affievolendo sino quasi a scomparire.
La prima affermazione è che tutto il regionalismo è fondato sul principio di differenziazione. Noi dobbiamo partire da qua, se non partiamo da qua è molto difficile parlare del futuro del regionalismo quando la prospettiva poltica va nel senso di una la riduzione netta del numero dei parlamentari e la mancata trasformazione del Senato in una camera delle Regioni. Non si sa bene quale sia, però certamente non è la prospettiva di dare una volta per tutte una Camera delle Regioni a questa Repubblica. Accanto alla differenziazione, se dovessimo pensare a un lessico del XXI secolo, dobbiamo parlare di territorializzazione ovverosia di un diritto collegato alle esigenze territoriali. Un diritto collegato alle esigenze territoriali in un momento storico in cui il diritto stesso è fortemente sganciato dal territorio perché è un diritto collegato a una misura di governance globale che, evidentemente, è oggettivamente al di là del territorio. Proprio nel momento in cui le forse economiche spingono nerso la deteritorializzazione, noi dobbiamo ricordare che l’art. 116 della Cosituzione prevede la differenziazione sia per le Regioni speciali sia per le Regioni ordinarie che ne abbiano le caratteristiche previste dalla Costituzione, con una differenza le Autonomie speciali esistono prima dell’entrata in vigore della Costituzione e le altre ordinarie possono godere “ulteriori forme e condizioni particolari” di autonomia. Ora lasciamo sullo sfondo le Regioni ordinarie però, per ricordare a tutti che anche l’art. 118 Cost. prevede il principio di differenziazione, insieme a quello di adeguatezza e di sussidiarietà; la nostra Repubblica vuole costruire e riconoscere una differenziazione. Una differenziazione che è sempre strettamente correlata all’idea che promana dall’art. 5 Cost.: la Repubblica riconosce l’unità e l’indivisibilità della Repubblica unitaria, ma allo stesso tempo riconosce e garantisce le autonomie.
La differenziazione poi è prevista in tutta Europa come elemento che deve caratterizzare il regionalismo. E allora come rispondere alla domanda che è stata fatta da uno degli organizzatori di questa giornata: dobbiamo avere paura della differenziazione? Io penso di no, ma lo penso (e in prospettiva cercherò di motivare questa affermazione) sulla base delle argomentazioni costituzionali che mantengono e garantiscono la differenziazione, senza dimenticare che l’adeguatezza, la sussidiarietà e la differenziazione vanno insieme alla perequazione, alla solidarietà che sono citate negli altri articoli della Costituzione, soprattutto nell’art. 119 e nell’art. 5.
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Nel 116 al primo comma si ricordano in maniera molto chiara i motivi storici per cui le autonomie speciali esistono, sono ragioni storichee da lì dobbiamo partire. Così come è scritto in Costituzione il fatto che gli statuti sono approvati con legge costituzionale, così come è scritto in Costituzione che ci sono alcune parti del territorio nazionale che hanno il bilinguismo garantito, così come è previsto un regime finanziario differenziato, così come le materie legislative esclusive sono appannaggio delle Regioni a Statuto speciale, così come il meccanismo delle norme di attuazione è strettamente collegato alle ragioni della specialità e quindi all’esistenza delle autonomie speciali.
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Le autonomie differenziate sono diverse? Certamente sono diverse rispetto alle autonomie speciali perché hanno statuti approvati con legge regionale; perché il percorso di eventuale differenziazione si costruisce con una legge della Repubblica e non con una legge costituzionale approvata a maggioranza assoluta; perché la finanza è diversa da quella delle Regioni a statuto speciale. Queste differenze ci inducono a ricordare che c’è già una differenziazione scritta nel 116 ed è chiaro che l’autonomia speciale ha una posizione diversa.
Partiamo dalla storia del testo. L’art. 116 terzo comma, viene approvato nel 2001, una prima ipotesi viene proposta nel 2008 dalla Lombardia, si ritorna a discuterne oggi a seguito di due referendum. Due referendum, badate bene, che erano stati proposti sia in Lombardia che nel Veneto (in Emilia-Romagna il “percorso” inizia senza referendum). Due referendum sui quali la Corte costituzionale interviene e dice “i referendum si possono fare, in quanto di tipo consultivo, l’importante è che non siano referendum alla catalana (una battuta triste, ahimè, visto quello che è successo e come è andata a finire la vicenda catalana). Sotto questo profilo la differenziazione ha una spinta popolare, ha una spinta basata su una idea di autonomia, forse “egoista” sia in Veneto che in Lombardia; tuttavia se si leggono le bozze che sono state citate, e specificamente gli articoli 1 e 2 che si trovano sostanzialmente identici nelle tre bozze delle autonomie differenziate, si parla di “specificità immediatamente funzionale alla crescita” di queste autonomie, nonché di “sperimentazione e di verifica dei risultati”. Da questo punto di vista la spinta verso questa autonomia è, secondo le persone che l’hanno proposta e che l’hanno portata avanti, estremamente legata alle necessità territoriali. Io ne cito soltanto una perché non abbiamo abbastanza tempo, ma invito tutti a leggere la parte relativa alla sanità. La parte relativa alla sanità è interessante perché vi sono una serie di analisi che riguardano la sanità nei Comuni montani, riguarda il problema delle borse di studio e delle borse di specializzazione, riguarda i vincoli della spesa pubblica rispetto alla assunzione dei medici. Sono problemi che si trovano in tante altre parti del territorio nazionale, soprattutto quello delle borse di specializzazione e anche quello della sanità montana, che evidentemente, rispetto a questo tema, sono molto importanti rispetto a tutti i contesti territoriali. È notizia di qualche tempo fa che in Veneto hanno richiamato gli ultrasettantenni già in pensione per coprire i posti in organico. È evidente che ci sono questioni analoghe in Lombardia, in Emilia-Romagna, ma anche in Sardegna da questo punto di vista.
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Allora il problema è la differenziazione o il mancato funzionamento del livello di regolazione nazionale di queste scelte? Perché le borse di studio e di specializzazione sono decise a livello nazionale, perché i vincoli di assunzioni rispetto alla sanità territorialmente sono definiti a livello nazionale? Ciò che leggiamo nelle intese, che sono quelle disponibili (io mi fermo alle intese approvate dal Governo Gentiloni, non mi occupo di testi apocrifi o di testi correlati), mi pare che il problema dal punto di vista della differenziazione sia che, oltre alla spinta ad una autonomia differenziata sul territorio, che viene da una spinta popolare, vi sono anche esigenze concrete territorialmente definite rispetto al raggiungimento di questo tema. Il problema è dal mio punto di vista: lo Stato è in grado di dare una risposta territorialmente definita a tutte queste realtà?
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Infine quali sono le garanzie di uguaglianza dal punto di vista nazionale? Su questo i tasti che possiamo toccare sono molto diversi. Io ne vorrei toccare almeno uno tornando anche alla affermazione che ho fatto all’inizio. L’eguaglianza nazionale a chi spetta garantirla? Oltre al Governo, deve essere garantita dal Parlamento. Io non conosco altri organi che hanno come compito quello di garantire un livello nazionale di prestazioni. Di questo punto di vista ne parlerà diffusamente Tore Cherchi, quindi non voglio aggiungere nulla, però io, per chi lo conosce, ripartirei dal disegno di legge Lanzillotta, che risale a circa 10 anni fa ed era un buon disegno di legge per la “ridefinizione a livello nazionale dei livelli nazionali delle prestazioni”. Da questo punto di vista tutto il procedimento di differenziazione può ritornare in Parlamento e potrebbe ritornare già oggi in Parlamento presso la Commissione bicamerale per gli Affari regionali; nonché presso la Commissione bicamerale per il federalismo fiscale. Quindi senza una Camera delle Regioni esiste una serie articolata di organi interni alle Camere che si possono occupare dei progetti di differenziazione, se ne possono occupare già oggi, non solo intervenendo sul percorso del procedimento di approvazione, ma anche dicendo ciò che pensano in Parlamento. Inlotre è possibile attivare la Conferenza delle Regioni, che può lavorare in maniera egregia sugli obiettivi di più democrazia e di più efficienza insieme. Infine, il Governo che, da questo punto di vista, come vedete, io lascio alla fine, non all’inizio, perché il Governo ha il compito di ricostruzione dei problemi e di identificazione dei temi sotto il profilo delle funzioni ma anche sotto il profilo delle risorse. Spetta al Governo discutere con la Regione il singolo profilo, ma la Conferenza delle Regioni e il Parlamento possono fare moltissimo per riportare tutto il percorso nell’ambito della centralità dal punto di vista del principio di uguaglianza, perché io penso che l’unico organo possa farlo bene è naturalmente il Parlamento.Quanto al profilo finanziario (ne parlerà Tore) soltanto due battute. Intanto il residuo fiscale era una delle ipotesi che Buchanan aveva utilizzato per riferirsi soprattutto negli Stati federali come meccanismo per valutare la possibilità delle Regioni più ricche di aiutare le Regioni più povere. Sotto il profilo dei costi standard e della capacità fiscale io mi ricordo soltanto una sentenza della Corte costituzionale, la 104/2017, che, per quanto riguarda l’università, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’uso dei costi standard per studente per la “determinazione delle FFO” (fondo di finanziamento ordinario delle università). Il profilo finanziario, tornando così al ruolo del Parlamento, significa in buona sostanza garantire l’applicazione obbligatoria dell’art. 119 Cost. L’art. 119 Cost. che ha trovato una sua applicazione con la legge sul federalismo fiscale, ma ad oggi tutta la parte relativa ai livelli essenziali delle prestazioni (c.d. LEP) è ancora rimasta lettera morta. Sono riusciti faticosamente dopo 10 anni a definire i livelli essenziali di assistenza, ma sui LEP siamo ancora indietro. Tutto questo naturalmente rebus sic stantibus, cioè sulla base delle cose così come stanno oggi.
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Se noi volessimo applicare il principio di differenziazione, vorrei capire, dal punto di vista parlamentare, quale idea di Costituzione spinge l’odierna maggioranza parlamentare. Se andiamo verso una riduzione dei parlamentari (è da trent’anni che se ne parla) però se il bicameralismo rimane così com’è, io vorrei capire veramente qual è la finalità della revisione costituzionale. Anche perché con la riforma che prevede la riduzione dei parlamentari (lo dico avendo fatto un dibattito nel 2016 piuttosto duro sulle ragioni della difesa della Costituzione e io ero per il Sì alla riforma costituzionale, quelli che erano contrari alla revisione costituzionale sono gli stessi che adesso il Parlamento lo stanno riducendo) viene meno finanche l’espressione “elezione su base regionale” e il Senato non sarà più eletto “su base regionale”. Su questo chiederei una riflessione collettiva. Io da questo punto di vista sono affezionato a quello che diceva Lussu: “se la marcia su Roma avesse trovato una diversa forma di Stato, non avrebbe sortito alcun effetto”. Quindi, da questo punto di vista, anche alcuni costituzionalisti americani e più recentemente Bruce Ackerman nel suo libro, “Revolutionary constitutionalism”, ha scritto che la Costituzione italiana e quella tedesca sono state costruite in articolazioni territoriali per avere un contrappeso al potere centrale da parte delle Regioni. Il principio di differenziazione, nella mia lettura e in quella che credo debba essere una lettura seria del regionalismo, serve a bloccare uno Stato iper-centralizzato che è più facile che si trasformi in una dittatura. I cittadini hanno maggiori garanzie nel momento in cui vi è una democrazia diffusa sul territorio e questa democrazia diffusa passa attraverso le Regioni, le Città metropolitane, i Comuni che possa fungere da contrapposizione democratica rispetto allo Stato centrale. Dal mio punto di vista il principio della differenziazione deve avere un obiettivo e che l’obiettivo è più democrazia e nello stesso tempo anche più efficienza. Sotto questo aspetto l’unità nazionale la garantisce il Parlamento, ma la può garantire sicuramente una legislazione seria e un contesto semplicemente chiaro rispetto all’attuazione dell’art. 5 Cost. Non vorrei ritornare a una Repubblica che non è più una Repubblica delle autonomie, ma uno Stato iper-accentrato con la scusa di garantire l’eguaglianza. E da questo punto di vista penso che l’eguaglianza la debba garantire la Repubblica tutta insieme e non soltanto qualche funzionario statale.
Cagliari, 14 ottobre 2019.